mercoledì 14 novembre 2012

News Mai Più Respinti - 14 novembre 2012

sbarcati 57 profughi a Siracusa, arrestati 2 scafisti 

Roma, 27 ott - Un peschereccio proveniente dall'Egitto, con a bordo 57 cittadini extracomunitari, la cui nazionalita' e' in corso di accertamento, e' stato fermato alle ore 20.55 di ieri, al limite delle acque territoriali Italiane, al largo delle coste Siracusane, da unita' navali della Guardia di Finanza operanti in Sicilia. E' il bilancio dell'Operazione al contrasto del fenomeno dell'immigrazione clandestina denominata ''HARRAGAS'', che ha visto coinvolti, sotto le indicazioni del Comando Operativo Aeronavale di Pomezia (Pratica di Mare), un velivolo ATR 42, in forza al Gruppo Esplorazione Aeromarittima alla stessa sede, nonche' un pattugliatore veloce ed un Guardacoste Veloce del Gruppo Aeronavale di Messina, Comando al quale e' stata affidata la direzione delle operazioni.



Diritti sotto sequestro - Nuovi aspetti della detenzione amministrativa dentro e fuori i CIE. Visita al CIE di Milo
Questa volta eravamo stati prima in prefettura, con l’on. Alessandra Siragusa, per verificare che le procedure irregolari di convalida del trattenimento, segnalate nelle precedenti visite a maggio ed a giugno fossero cessate, come alcuni avvocati ci avevano detto. Ed in effetti adesso sembra che le convalide delle proroghe dei trattenimenti si facciano alla presenza delle persone interessate e non siano più quelle proroghe “cartacee” sanzionate anche dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 4544 del 2010, senza la presenza dell’immigrato e senza la possibilità di esercitare un effettivo diritto di difesa.
Intanto a Trapani è cambiato il dirigente dell’ufficio immigrazione, è in corso una indagine della magistratura sulle violenze commesse dalla polizia durante uno dei tanti tentativi di fuga, un caso le cui immagini sono finite in diversi siti internet e che non si poteva più ignorare, e sembra che i giudici di pace si rechino all’interno del centro, senza limitarsi a svolgere le convalide dei trattenimenti in tribunale senza la presenza dell’immigrato.
Questo tuttavia non ha impedito di trovare all’interno del CIE cinque persone di nazionalità tunisina che asserivano di non avere mai visto un giudice di pace ed anzi lamentavano che altri arrivati a Milo alla fine di luglio erano stati rimessi in libertà per la mancata convalida nei termini di legge ( 48 ore per la comunicazione al giudice e altre 48 ore per la convalida), termini sanciti addirittura dall’art. 13 della Costituzione, ma ignorati da sempre nei CIE italiani. Si dovrà verificare adesso la loro posizione, ma intanto è certo che la maggior parte delle persone sbarcate quest’anno e poi respinte in base all’art. 10 comma 1 ( respingimento immediato) del T.U. sull’immigrazione, magari dopo giorni dall’ingresso nel territorio e di detenzione amministrativa informale in centri di accoglienza a porte chiuse, con la complicità delle autorità consolari dei paesi di origine, non hanno visto uno straccio di provvedimento né hanno potuto fare valere una richiesta di asilo o i loro diritti di difesa. Un escamotage inventato da qualche esperto del ministero dell’interno per evitare l’applicazione della Direttiva 2008/115/CE sui rimpatri, che sembrerebbe escludere dal suo campo di applicazione i respingimenti immediati. La direttiva non precisa se sono esclusi solo i respingimenti immediati in frontiera, ed a livello europeo forse era fin troppo difficile cogliere la peculiarità del respingimento differito disposto dal questore, che può essere eseguito anche mesi dopo l’ingresso irregolare nel territorio dello stato, dopo mesi di trattenimento amministrativo nei CIE, esattamente come nel caso di una comune espulsione amministrativa disposta dal prefetto. Un istituto quello del respingimento differito ex art. 10 comma 2 del testo unico sull’immigrazione, che consente gli spazi più ampi alla discrezionalità amministrativa anche perché la norma che lo contiene non disciplina neppure i mezzi di ricorso, ed a lungo sia i giudici di pace che i tribunali amministrativi hanno negato la loro competenza, al punto che si è negato agli immigrati qualunque diritto di difesa. Dopo che alcuni giudici di pace hanno cominciato ad annullare provvedimenti di respingimento differito, come lo scorso anno ad Agrigento, ecco il ricorso ai respingimenti immediati ex art. 10 comma 1 del T.U. 286 del 1998, senza alcun provvedimento del questore, come una mera prassi di polizia, ma con il trattenimento in strutture informali e non nei CIE, senza alcuna convalida del magistrato, peggio senza che sia neppure comunicato il trattenimento ad un magistrato. In questi casi si tratta di persone entrate e trattenute per giorni in luoghi diversi da CIE sotto stretta sorveglianza di polizia, come capannoni nella zona portuale soggetta a controllo militare, senza uno straccio di provvedimento che possa essere almeno impugnato, per essere poi accompagnate in aeroporto e dopo l’identificazione del console del paese di ( presunta) provenienza, imbarcate sull’aereo e rispedite in patria.
Una detenzione “in incommunicado” vietata dalla legge e dal Regolamento Frontiere Schengen del 2006, che impone formalità e garanzie precise per i respingimenti in frontiera, che però è frutto degli accordi negoziati da Maroni a Tunisi lo scorso anno, il 5 aprile, quando si convenne di fare partire dall’Italia con cadenza settimanale due voli di rimpatrio diretto verso la Tunisia, senza attendere il riconoscimento individuale delle persone, ma solo sulla base dell’attestazione di nazionalità da parte di un console, magari nello stesso aeroporto di Palermo nel quale era già pronto l’aereo di ritorno con i motori accesi. Solo che siccome la sommarietà non esclude gli errori, ecco l’altra novità di ieri, di solito dai centri di prima accoglienza/detenzione all’aeroporto di Punta Raisi di Palermo viene portato un numero superiore di persone destinate al rimpatrio, e quelli che il console non riconosce, o non vuole riconoscere, quelli allora vengono portati nel Cie di Milo o trasferiti in altri CIE. E la roulette russa si può ripetere all’infinito. Un cittadino marocchino rinchiuso ieri nel CIE di Milo ha raccontato di essere stato portato sei volte davanti ad un console senza essere mai riconosciuto e quindi rimpatriato.
Evidente, già a partire da queste prassi di polizia ,e dallo schieramento di un cordone da ordine pubblico, lo stato di tensione che si respira nel centro. A differenza di giugno le sbarre dei portoni di ferro sono affumicate dal fuoco, e alcuni immigrati mostrano segni di pestaggi in fase di riassorbimento, forse la fase più calda delle fughe che si colloca tra luglio ed agosto, ma ancora in questi giorni le contestazioni sono violente e per la prima volta la nostra visita all’interno delle gabbie si è svolta, contro la nostra volontà, sotto scorta di un gruppo di poliziotti schierati tra noi e la porta di ingresso della gabbia con scudi, manganelli e visiera. Sembra che le fughe siano state tantissime, alcune sono riuscite e sono state fughe di massa, in altri casi quasi tutti gli immigrati sono stati ripresi. Decisivo in questo caso l’intervento dei pattuglioni antisommossa di stanza a Trapani, alloggiati in albergo e chiamati ad intervenire quando la tensione sale o si verificano fughe. Ieri nel gabbiotto di guardia all’ingresso si vedevano ammucchiati decine di zaini degli agenti di polizia, come se fossero arrivati in massa poco prima della nostra visita. Forse si temeva una sommossa o l’ennesimo tentativo di fuga. Certo l’esasperazione era tanta, anche perché molti immigrati non sapevano assolutamente quale sarebbe stato il loro destino ed erano costretti ad attendere il passare dei giorni senza avere assolutamente nulla da fare.
In queste condizioni le informazioni che abbiamo potuto assumere sui casi individuali sono state lacunose, all’inizio nessuno voleva parlare con noi, evidentemente avevano ricevuto tante altre visite di persone che volevano solo sapere qualcosa senza offrire alcuna possibilità di difesa. Poi, una volta rotto il muro della diffidenza, siamo stati circondati da numerosi immigrati che volevano raccontare la propria storia, raccontare -alternando protesta a rassegnazione- quello che vivevano ogni giorno, in una struttura che è ancora più disumana del vecchio Vulpitta, il vecchio CPT di Trapani, ubicato in un ospizio riadattato, ma al centro della città. Sembra che siano ancora in corso gli studi preliminari per l’ennesima ristrutturazione, in vista di una sua riapertura. Malgrado i milioni di euro spesi negli anni passati, per costruire il nuovo centro di Milo e per le continue ristrutturazioni del Vulpitta, ancora fiumi d i denaro per ristrutturare il vecchio centro che nel dicembre del 1999 era stato teatro della più grave tragedia mai verificatisi in un centro di detenzione italiano, con la morte di sei migranti, a seguito di un rogo appiccato dopo un tentativo di fuga, quando ben dodici persone erano state rinchiuse per punizione in una cella di pochi metri quadri e non si erano rinvenuti in tempo chiavi ed estintori.
A Milo oggi molte cose sono cambiate rispetto ad allora, la struttura è nuova, ma tutto è isolamento e annientamento della personalità. Cemento, materassi per terra, pochi tavoli, quelli che abbiamo visto nuovi, evidentemente portati prima della visita, perché ci hanno detto in prefettura che gli immigrati li rompono e li utilizzano contro gli agenti nei tentativi di fuga. E poi solo muri e sbarre, non una sola occasione per trascorrere il tempo, solo pratiche di controllo, appelli continui e condizioni disumane di isolamento di persone colpevoli soltanto di non avere il documento di soggiorno o di ingresso in regola. Come dicevano molti, peggio che un carcere, si, perché a seguito della prassi dei respingimenti sommari dei tunisini ( e degli egiziani) appena sbarcati, oltre che per la riduzione oggettiva delle partenze dal nord africa ( meno di un decimo rispetto allo scorso anno), la popolazione del CIE di Milo ormai è quasi esclusivamente composta da ex detenuti, o da richiedenti asilo che hanno potuto formalizzare la loro domanda solo dopo avere ricevuto un provvedimento di respingimento ed espulsione. Come imposto dal decreto legislativo 159 del 2008 di Maroni, un provvedimento che estendeva i casi di detenzione amministrativa dei richiedenti asilo, dopo il decreto legislativo 25 del 2008 che invece attuava la direttiva comunitaria sulle procedure di asilo in modo molto più aperto. Anche se ancora ieri qualcuno riferiva di avere subito torture nei commissariati di polizia in Tunisia, o in altri paesi ritenuti a torto sicuri molte di queste domande saranno certamente rigettate e non si vede come possano essere fatti i ricorsi, a fronte dei costi ormai impossibili per un migrante, della chiusura dei consigli dell’ordine sul gratuito patrocinio e dei tempi per avvalersi di un avvocato di fiducia.
E per quelli che manifestano l’intenzione di chiedere asilo, anche due mesi per la formalizzazione della domanda nel modello C 3 e per l’avvio della procedura presso la Commissione territoriale. Due mesi di detenzione del tutto privi di giustificazione, basati solo sul pregiudizio che tutti i richiedenti asilo sono soltanto immigrati che cercano di evitare il respingimento o l’espulsione. Una circostanza che si può anche verificare, ma che andrebbe accertata dalla Commissione territoriale, e che in nessun caso può costituire una ragione per impedire o ritardare l’accesso alla procedura quando questo significa settimane di trattenimento ingiustificato.
Molti i casi di immigrati che segnalavano di non avere più notizie del proprio avvocato d’ufficio. Malgrado il quadro idilliaco tracciato dai responsabili del nuovo consorzio di associazioni, l’Oasi di Siracusa, sui servizi di mediazione offerti a quelli che la direttrice si ostinava a definire come “ospiti”, il livello di informazione legale a disposizione di queste persone è assai modesto e le possibilità di fare valere i loro diritti rimangono assai remote. Alcuni immigrati si trovavano detenuti da oltr
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